lunedì 25 giugno 2007

Dialogo tra Platone e Dostoevskij - cap. 1

Platone: Non è un bel vedere.
Dostoevskij: A cosa ti riferisci?
Platone: A quello che abbiamo davanti agli occhi, Fedor, la Terra. Da qui il panorama mette i brividi.
Dostoevskij: Dici?
Platone: Osserva tu stesso. Ebbene?
Dostoevskij: Non ci trovo nulla di disgustoso. Mi sembra tutto terribilmente normale.
Platone: dimenticavo il tuo sano cinismo. Evidentemente non ti interessa il destino del genere umano.
Dostoevskij: Sai bene che i cinici erano altri, Platone. Piuttosto, dimmi, cosa vedi che non vedo io?
Platone: A dirti il vero è difficile distinguere qualcosa di preciso in tale confusione. Posso confessarti una cosa? Mentre stavo per arrivare qui la prima volta pensavo tra me e me alla vista che entro breve mi si sarebbe offerta allo sguardo. Da questa posizione privilegiata come si sarebbe presentata la Terra? Vista così, da lontano, che cosa vi avrei scorto? Immaginavo di vedere gli uomini come formiche muoversi sulla sua superficie, fantasticavo su grandi masse di esseri umani organizzati in gruppi ordinati, ciascuno col proprio compito e tutti nella stessa direzione. Immaginavo flussi ordinati e costanti, immaginavo formicai sempre più grandi, semplici e funzionali…
Dostoevskij: … e poi finalmente sei arrivato qui.
Platone: Già. Un eterno caos, dal primo istante in cui i miei occhi hanno puntato in quella direzione. Ma ti dirò di più: se ci si limita a guardare distrattamente, se si butta l’occhio, può sembrare che effettivamente un ordine ci sia. Prendi quell’uomo di fronte a noi: ha voltato per un attimo la testa e ha guardato la terra. Pensi abbia avuto una cattiva impressione o che, al pari di me, abbia provato disgusto? Niente di tutto ciò. Osservalo: non ha fatto una piega, non si è scomposto. Ma se invece fai come me e ti siedi qui ore e ore e osservi, e se resti qui un giorno, poi un altro, e un altro ancora, la vista si fa più acuta fino a quando non si può far altro che constatare che l’ordine è soltanto apparente, e a ben vedere regna il caos.
Dostoevskij: Ah davvero?
Platone: Non mi credi, Fedor? Allora se me lo permetti, per spiegarti meglio ciò che osservo, prenderò ad esempio i sorprendenti risultati ottenuti nel corso di recenti esperimenti di fisica quantistica. Cercherò di semplificare al massimo, perché la mia competenza in questo campo è alquanto limitata.
Dostoevskij: Prosegui, Platone. Cosa c’è di meglio che dialogare con una persona intelligente?
Platone: Bene. Spero che i fisici perdonino la mia semplificazione. Prendiamo ad esempio un cannone che spara un proiettile con l’obiettivo di colpire un bersaglio. Ora, se noi prendiamo in considerazione il proiettile, è possibile calcolarne in ogni istante la velocità e la posizione. Mi segui?
Dostoevskij: Fin qui tutto chiaro.
Platone: Se invece considerariamo la palla di cannone non come unità ma come un insieme di particelle infinitamente piccole, e proviamo a determinare la posizione di una delle particelle e la velocità alla quale si sta muovendo insieme a tutte le altre, ci troviamo di fronte a un fatto quantomeno sconcertante, è cioè che della suddetta infinitesimale particella non è possibile stabilire né la posizione precisa, tantomeno la velocità alla quale si muove: è il cosiddetto principio di indeterminazione. Pensa un po’, Fedor: il proiettile si muove in una direzione specifica, misurabile, replicabile, segue cioè una traiettoria in uno spazio e per un certo tempo; le particelle, invece, prese una ad una, come dire, vanno per proprio conto, o meglio, hanno una posizione in potenza, come direbbe il buon Aristotele, ma non in atto.
Dostoevskij: Curioso.
Platone: Vero? Anch’io lo trovo curioso! E credo anche tu abbia intuito dove voglio arrivare. Quella del proiettile e delle particelle mi sembra una discreta metafora per provare a spiegare ciò che vedo laggiù sulla terra: può sembrare che il genere umano nel suo complesso segua una precisa e determinata direzione, ma se poi andiamo ad analizzare la posizione dei singoli individui, se prendiamo gli uomini uno ad uno, scopriamo che la loro collocazione è indeterminabile. Ognuno si muove per conto proprio, senza preoccuparsi di coordinarsi con l’altro. Ecco cosa intendevo per caos. Ma giunti a questo punto della riflessione mi chiedo: com’è possibile che nonostante il fatto che ognuno vada a briglia sciolta, per conto proprio, ignorando la direzione degli altri, preso nel complesso il genere umano segue in ogni caso una direzione? Non lo trovi un paradosso sconcertante?
Dostoevskij: Non voglio deluderti, Platone, ma di nuovo non vi vedo nulla di sorprendente. Al di là di questo, che sia un argomento di estremo interesse non c’è dubbio. E sai, il fatto curioso è che l’esempio della fisica quantistica viene utile anche a me per illustrarti ciò che penso e provare a risponderti. Allo stesso modo del proiettile, infatti, che nel medesimo instante è singola unità e somma di particelle, io mi azzardo a ipotizzare che in ogni istante l’essere umano vive due vite contemporaneamente. In una delle due egli è solo - ed è quindi particella - nell’altra è parte di una collettività - dunque proiettile. Per quanto riguarda l’essere umano diciamo così come proiettile, se me lo permetti vorrei porre alla base del discorso proprio alcune delle riflessioni su cui fa perno la Repubblica, perché nessuno, prima e dopo di te ha saputo spiegare questo concetto in modo migliore. L’umanità, affermi, non è nient’altro che lo specchio dell’uomo, così come il singolo è specchio dell’umanità, in quanto si pone come costituzione di un rapporto, ossia come politeia, cioè come bene e giustizia. E dunque, se l’esserci dell’uomo sta nella sua tensione a saper pensare, a realizzare la propria essenzialità, nel sapere ciascuno la propria funzione, nel sapere ciascuno suonare bene la propria parte, in una partitura, in relazione a una sinfonia, allora significa che principio e fine, bene e giustizia coincidono nel sapere; e l’essenza dell’umanità non data, ma in fieri, è quella di essere sinfonia, politeia.
Platone: I miei complimenti, Fedor, io stesso non avrei potuto esprimermi più efficacemente.
Dostoevskij: Mi fa piacere. Ma andiamo avanti. L’essere umano in quanto proiettile è dunque parte di un tutto, e in quanto parte di un insieme vive in funzione degli altri, condividendo con essi lo stesso obiettivo e la medesima visione del mondo. L’essere umano in quanto collettività instaura relazioni, coopera, unisce le forze per il raggiungimento di un obiettivo condiviso. L’essere umano in quanto collettività è consapevole dell’esistenza e della necessità di leggi che regolano i rapporti tra gli individui, poiché senza un insieme di divieti e prescrizioni regnerebbero il caos, il disordine, l’anarchia. L’essere umano come collettività, inoltre, ha ben chiaro di essere letteralmente frutto di una relazione, un incontro, un’unione. È cosciente del fatto che l’intera sua vita si svolge a stretto contatto con gli altri, e che l’isolamento assoluto è impossibile. Soprattutto si rende conto che l’unione, l’altro, sono indispensabili per un fatto estremamente semplice: un uomo, da solo, non può riprodursi. Senza rapporti, la specie umana cesserebbe di esistere in un batter d’ali. In fondo, mio caro Platone, come spiega il Grande Inquisitore a Cristo, quello di un inconfutabile, comune e armonioso formicaio – proprio quello che tu stesso immaginavi mentre venivi qui – non è nient’altro che il supremo desiderio dell’uomo sulla terra, e l’umanità nel suo complesso ha sempre mirato a organizzarsi in uno stato che fosse necessariamente universale.
Platone: Infatti. Un’efficace descrizione del proiettile. A questo punto non ti rimane che parlare della singola particella.
Dostoevskij: Ci arrivo subito. Ti prego di ricordare che l’assunto di partenza è che l’essere umano viva queste due vite contemporaneamente, nello stesso instante.
Platone: Non l’ho dimenticato, Fedor, prosegui pure.
Dostoevskij: Bene. Proprio in quanto particella e in quanto individuo, l’essere umano è solo di fronte alla vita, ed essendo egli stesso il solo e unico responsabile della propria esistenza tende all’autodeterminazione, alla realizzazione di sé, alla rivendicazione dei propri esclusivi diritti. In quanto individuo l’essere umano reclama autonomia di pensiero e libertà di parola. L’essere umano in quanto individuo non dipende da nessuno. È autosufficiente. Non ha bisogno di alcun consiglio o sostegno. In quanto individuo, l’essere umano si oppone a tutti gli altri esseri umani. Si oppone a tutto e non può non essere ribelle. Ogni essere umano in quanto individuo percorre una strada propria, e non incontra nessuno sul proprio cammino. L’essere umano in quanto individuo non tollera altra legge se non la propria, e parla una lingua che solo egli stesso può comprendere. Non comunica all’esterno, ma solo con se stesso. Ha uno sguardo che abbraccia il mondo intero, non essendoci un altro punto di vista che gli si oppone. Non instaura relazioni con altri individui, ma semplici contatti. Per l’essere umano in quanto individuo l’egoismo è un’idea inconcepibile, assurda, perché esiste solo per se stesso. L’essere umano in quanto individuo tende all’autodistruzione.
Il singolo – in altre parole la nostra particella - è inoltre perfettamente cosciente del fatto che in ogni istante della vita sarà irrimediabilmente solo. Sarà solo quando dovrà affrontare problemi o prendere decisioni, rischiare o arrendersi, scommettere o scappare. L’individuo, infatti, sa perfettamente che nessuno mai gli presterà un paio d’occhi per guardare cose che non vorrebbe guardare, così come nessuno lo sostituirà quando si troverà ad affrontare una terribile decisione o un grande dolore, né sarà qualcun altro fornirgli le parole quando non saprà cosa dire. Nonostante sia circondato da altri individui, dunque, sa benissimo che questi altri non potranno mai fare nulla per lui, proprio perché sono altro da sé, anch’essi confinati nel loro irrimediabile isolamento. L’essere umano come singolo ha la consapevolezza che non potrà guardare e affrontare il mondo se non con i suoi occhi, con le sue azioni.
Il succo della faccenda, Platone, sta tutto qui: che mentre l’essere umano come particella non vuole essere un tasto di pianoforte, l’essere umano in quanto proiettile non aspira altro che a quello. Ecco, nello stesso istante e in ogni circostanza della vita l’uomo è nello stesso momento particella e proiettile strumento e orchestra, tasto e pianoforte.
Platone: un tasto di pianoforte…
Dostoevskij: Già, Platone, le persone rimangono sempre persone, e non tasti di pianoforte su cui le leggi della natura, di Dio o della Repubblica possano suonare di propria mano. Ma diciamo di più: anche nel caso in cui si dimostrasse effettivamente un tasto di pianoforte, se ciò venisse un giorno dimostrato con le scienze e la matematica, allora anche in questo caso l’uomo non si ravvederebbe, ma farebbe di proposito qualcosa al contrario, unicamente per ingratitudine; insomma per fare di testa propria. E nel caso in cui non avrà mezzi, si inventerà il disordine e il caos, solo ed esclusivamente per affermare che è un uomo e non un tasto di pianoforte. In fondo tutta la questione umana consiste in effetti solo in questo, che l’uomo dimostri ogni minuto a se stesso che è ingranaggio essenziale di un motore, e allo stesso tempo tutt’altro che un misero pistoncino.

4 commenti:

astrosio ha detto...

...mentre un esercito di uomini disceso da una croce, dove dio credeva di averlo da tempo inchiodato, si è ribellato e, armato di ferro, di sangue, di fuoco e di ossa, avanza, bestemmiando l'Invisibile per farla finita col GIUDIZIO DI DIO.

antonin artaud

Anonimo ha detto...

Scopro con piacere che nell'area attorno al mio blog c'é vita neurale :)

saludos

Anonimo ha detto...

Perdonami ma non sono riuscito a capire il "tuo" punto di vista.
Ossia,ritieni ancora necessario credere alle cosiddette "metalyrics", alle grandi narrazioni, e quindi ritieni che la fine della storia sia ancora lontana e perciò ritieni di appartenere alla schiera degli ultimi umanisti, oppure abbracci il pensiero nichilista post-modernista e quindi la tua è una "semplice" considerazione sulla direzione che il mondo ha preso (ma su questo mi piacerebbe capire meglio a quale corrente ti avvicini di più).Saluti,Gianluca.

Anonimo ha detto...

Riguardo alla fisica quantistica: Non è che la particella non abbia una posizione in atto ma solo in potenza. In realtà il principio di indeterminazione dice (più o meno) che noi non possiamo sapere contemporaneamente la posizione della particella e la sua velocità. Per cui non possiamo determinare dove andrà (quale sarà il suo moto nel futuro, l'evoluzione del sistema). Non possiamo dire nulla però circa il fatto che la particella abbia una posizione in atto o meno. Per cui, la scelta dominante è stata quella di dire che, visto che non si può determinare la posizione in atto, si gestirà il problema della particella come se ci fosse solo la posizione in potenza, ossia probabilisticamente. Ma non è detto che questa sia la strada giusta per arrivare ad una teoria esauriente.