sabato 20 dicembre 2008

Make war not love - 4

Tutto ha un limite.
Ed è ora di porre un limite al relax, al comfort, alla dolce vita: hanno creato più danni loro di tutti i conflitti bellici. Non ne posso più di questa pace. Sono nauseato da questo benessere. Non tollero più questa società di vecchi, obesi, cardiopatici, narcotizzati, stressati, impotenti, questo orrendo teatrino di eterni giovani, di smemorati, di perversi, di inetti e ipocriti: buoni solo a lamentarsi ma incapaci di muovere un dito.

Io, signori, affermo la necessità della guerra mio malgrado. Ne farei volentieri a meno, con tutto me stesso. Ma è la gravità della situazione - e non certo una mia personale predisposizione o inclinazione - a imporre rimedi di tale portata.

Se c’è una via d’uscita da questa nebbia, dal torpore che ci attanaglia le membra, dall’indifferenza, dalla stagnazione e dalla passività che ci caratterizzano, questa scappatoia - dannazione - è la guerra.
Siamo giunti a un punto tale di saturazione che contro decenni di stordimento e narcotici, benessere e televisione, l’unico antidoto efficace è un brusco, violento, inaspettato, devastante irrompere della realtà nella sua forma più cruda e atroce. C’è assoluta necessità di dolore (quello reale, che si prova sulla propria pelle); di sofferenza e di sangue (il proprio sangue, quello che scaturisce dalle nostre ferite); qualcuno deve destarci da questo dormiveglia non con delicatezza e tatto, ma con uno schiaffo, un pugno nello stomaco, meglio ancora una coltellata alle spalle. Ma vera, non simbolica né metaforica.

In altre parole, qualcuno deve attaccarci, quanto prima, necessariamente: in primo luogo, perché noi non abbiamo la forza nè l'ardire di muovere un dito. Secondariamente, perché prima che sia troppo tardi – prima di farsi inghiottire totalmente dal nulla, prima di svanire definitivamente – la nostra sola speranza è di rappresentare qualcosa per qualcuno, di dimostrare ancora la nostra consistenza, la nostra esistenza. C’è bisogno che sia qualcun altro a dircelo, e l’unico modo per scuoterci da questo torpore e farci aprire gli occhi è attaccarci, bombardarci, devastarci, procedere alla nostra eliminazione. Qualcuno deve fare della Vecchia Europa non la culla, ma la tomba della civiltà. Deve darci giusta e meritata sepoltura, o quantomeno provarci. Qualche benefattore, in altre parole, deve identificarci con il nemico. Quanto sarebbe rivitalizzante!

Senza alcun dubbio ciò che non ci serve è continuare a far finta di vivere in questa calma piatta, in questa nebbia che tutto confonde e nasconde: è tempo che le foschie si diradino per mostrare a noi vecchi, stanchi, deboli e annoiati, a noi vegliardi dalla vista debole e dalla memoria corta, come in realtà stanno le cose.

Di fronte a un assalto di tale portata misureremo finalmente il nostro effettivo valore. Soccomberemo tutti, indistintamente? Amen. Così sia. Non mi sento di versare nemmeno una lacrima. Spargeranno le nostre ceneri sul terreno per concimare i campi, in attesa del fiorire di una nuova civiltà. Qualcuno dei nostri, invece, scamperà al massacro? Avrà la forza o la fortuna di sopravvivere? Dopo essere passato attraverso la guerra, il dolore e la sofferenza forse avrà tonificato le membra, aguzzato la vista e acuito tutti gli altri sensi. Forse, avrà la schiena un po’ più dritta di prima e non si aggirerà per la terra come un morto vivente. Forse, dopo un’esperienza del genere, la nebbia si diraderà e potrà vedere più distintamente.

In ogni caso, entrambi i risultati – la nostra totale eliminazione o la sopravvivenza di pochi - sarebbero da salutare come un successo, e sarebbero senz’altro preferibili a condurre un’esistenza quale quella attuale.

Ma la realtà – ben più terribile della mia invocazione della guerra - è che noi, esseri umani di questa parte del mondo, noi della Vecchia Europa, e noi italiani in particolare, non facciamo paura a nessuno. Non rappresentiamo nulla. Del resto che timore possono incutere dei poveri vegliardi anche se alzano la voce? A chi possono dare fastidio? Noi non valiamo più niente. Oggi, adesso: non domani o in qualche prossimo futuro.

La sola ragione – questa sì – che potrebbe motivare un attacco consiste nel fatto – e non cesserò mai di ribadirlo – che questa massa di anziani inebetiti da decenni di benessere & comfort consuma una quantità indecente di risorse: economiche, umane, energetiche, tecnologiche. Un'assemblea di saggi dovrebbe quindi mettersi al tavolino, fare due conti e giungere al confortante risultato che noi non siamo altro che un inutile esercito di consumatori: così noi stessi amiamo definirci. Ci ostiniamo a tirare a campare il più a lungo possibile succhiando e sottraendo risorse a chi ne avrebbe indiscutibilmente più necessità di noi.

Unica, definitiva via d'uscita, e sola igiene del mondo, la guerra rappresenterebbe l’improvvisa invasione della realtà nella sua veste più cruda, atroce e dolorosa in una parte del mondo - la nostra - che ha scelto di non vivere, o di lasciarsi vivere, o meglio ancora di delegare ad altri la fatica di esistere.

In fondo quale più efficace contrappasso, per una civiltà di consumatori, che quello di essere voracemente e definitivamente consumata?

Il pensatore del XXI sec. - 8

Il piacere che si trae dalle cosiddette attività dello spirito, deriva in ultima istanza dal fatto indubitabile che né noi, né alcuno prima o dopo di noi, potrà mai trovare una formula esaustiva, un singolo schema, un'unica e definitiva risposta a tutti gli interrogativi che l'essere umano, dalla sua comparsa sulla terra, si è posto incessantemente.
Perchè in realtà, se per disgrazia – ma ciò non accadrà mai – un giorno qualche saggio giungesse davvero alla scoperta della legge del tutto, della verità assoluta, nessuno avrebbe più nulla da cercare, e cesserebbe la sola e vera fonte di sommo piacere che sia stata concessa all'essere umano: la ricerca stessa, appunto. Anche gli stolti e gli ingenui lo sanno, e ciò vale in qualsiasi campo; ma tale assunto è altrettanto chiaro nella mente dei saggi, che hanno essi stessi sperimentato, nel corso della loro vita, che nessun obiettivo raggiunto vale quanto il suo stesso raggiungimento. Una volta che si arriva ad ottenere ciò che a lungo e tenacemente si è cercato, l'oggetto della ricerca perde immediatamente di interesse, e viene sostituito con un altro.

Quindi il vero saggio sa che il vero piacere che consegue dell'attività intellettuale e più in generale dello spirito - la più alta espressione dell'umana specie - consiste nell'escludere a priori, unica tra le attività umane, il raggiungimento dell'obiettivo.

L'attività dello spirito - e dunque la ricerca della verità, la formulazione della teoria del tutto - è la sola a non poter per definizione raggiungere l'obiettivo, ed è dunque unica dispensatrice di un piacere che sarà lungo tanto quanto l'esistenza dell'essere umano.