venerdì 13 aprile 2007

Make war not love - 1

La maggior parte delle società occidentali sta vivendo uno dei periodi di pace più lunghi che la storia dell’uomo possa ricordare. Sono ormai passati sessant’anni dall’ultimo conflitto su scala mondiale. Il risultato più evidente di questo rigurgito di pseudobenessere sono società obese, terribilmente annoiate, ammalate, depresse. Società in continuo calo demografico, società anagraficamente e culturalmente vecchie. Società esaurite, che si sono già poste tutte le domande, che hanno elaborato tutti i testi possibili, senza aver trovato alcuna risposta definitiva. Soprattutto, società di nome ma non di fatto, non nella sostanza, perché costituite da individui singoli privi di relazione gli uni con gli altri. Alla base delle società occidentali (o per meglio dire del modello oggi culturalmente dominante nel mondo) non c’è la cooperazione tra individui in vista di un bene collettivo, ma la concorrenza per accaparrarsi delle risorse limitate.

Qui si tratta di capire che sarà folle o paradossale ma siamo di fronte a un eccesso di pace. La pace ha la curiosa caratteristica di associare a un ordine di superficie un profondo disordine, al contrario della guerra che al terribile disordine di superficie associa una sorta di paradossale ordine profondo. Mi spiego meglio: i dato o i risultati evidenti e manifesti della guerra sono i conflitti armati, le morti, le armi, i soldati, i bombardamenti, le torture, le prigioni. Il lato più nascosto, delicato e profondo dei conflitti è dato dalla ricerca di un ordine, dal consenso collettivo che si riesce a creare indipendentemente dalla bontà dei valori condivisi (si pensi solo al nazismo, al fascismo, ai regimi comunisti) dagli atti di pietà, dalla capacità di soffrire e sacrificarsi anche per cause perse, dall’abnegazione e dal coraggio.

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