sabato 21 aprile 2007

Philos + Sophia - 5

Conosco diverse persone che hanno fatto filosofia, ma il loro interesse per la disciplina si è quasi sempre limitato agli anni dell’università. Dopo, la filosofia è scomparsa dalle loro vite: quasi nessuno ha mai letto un libro di filosofia dopo la laurea, nè il filosofare occupa anche solo qualche istante dei loro pensieri.
Rispetto al fare filosofia, è scontato affermare che - in linea di principio - essere filosofi dovrebbe qualcosa di ben diverso. Riprendiamo ancora una volta l’etimologia della parola: philos e sophia, ossia amore per la sapienza, o la saggezza, o la conoscenza. Tutti, per secoli, hanno focalizzato la loro attenzione sul secondo termine greco che compone la parola, io preferisco invece soffermarmi sul primo. È il primo termine, philos a darci la misura del filosofare: la filosofia è prima di ogni altra cosa un sentimento, per essere più precisi un sentimento di amore. Dunque il filosofo è una persona innamorata. E l’oggetto del suo amore è la sapienza. Ora cosa può fare un filosofo se non pensare costantemente all’oggetto del suo amore? Un filosofo non decide razionalmente, non sceglie volontariamente di occuparsi della ragione, della conoscenza o della saggezza: ne viene travolto.
Un filosofo non decide di mettersi a riflettere o non sceglie di porsi certe domande: i dubbi vengono da soli, i pensieri non sorgono a comando, ma fluiscono senza una precisa volonta. Un filosofo non sceglie di diventare filosofo, piuttosto asseconda un proprio sentimento, si lascia inondare dalla passione. Un filosofo non può avere con la filosofia un rapporto freddo e distaccato, al contrario, la filosofia rappresenta per lui la vetta estrema della felicità e il più profondo degli abissi. La filosofia è un ossessione, un tormento, una delizia, un’indispensabile futilità.

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